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Periodicamente la famiglia torna sotto i riflettori dell’opinione pubblica, indagata come possibile matrice dei mali del « bel Paese », scrutata come depositaria e riproduttrice delle virtù e, più spesso, dei vizi del carattere nazionale. Paul Ginsborg ha riproposto nuovamente il tema del familismo come una possibile chiave di lettura della realtà italiana contemporanea. In un’Italia ripiegata su se stessa, in cui le giovani generazioni faticano a staccarsi dalle mura domestiche per progettare un futuro autonomo, in cui ruoli politici e candidature passano disinvoltamente di generazione in generazione come fossero ereditarie, e in cui recenti scandali coinvolgono responsabilità genitoriali, conviene interrogarsi ancora sostiene lo storico inglese naturalizzato italiano – sul concetto di familismo.

Familismo è un’espressione famosa nel lessico delle scienze sociali, soprattutto dopo che nel 1958 lo studioso Edward Banfield ebbe coniato il concetto di «familismo amorale» per designare i comportamenti, descritti come angustamente individualistici, della gente di un isolato villaggio lucano. Lo studio di Banfield ha avuto una larga eco nel dibattito pubblico sulla questione meridionale, divenendo per alcuni una delle possibili spiegazioni delle carenze dello spirito pubblico nel Sud del paese. Ora Ginsborg lo recupera e. pur criticandolo, ne allarga la portata, fino ad usarlo per descrivere l’intero atteggiamento del « paese Italia »: anzi, richiamando il ben noto detto del «tengo famiglia» – e definito sorprendentemente non uno stereotipo ma la sintesi di «una filosofia antica e tipicamente italiana» – egli attribuisce al familismo, non più solo amorale ma ormai scopertamente immorale, il mancato radicamento di un’etica pubblica, di quel senso della collettività che è invalso nelle scienze sociali chiamare civicness, senso civico. La tesi di Ginsborg, modellata sugli schemi dicotomici cari a tanta sociologia classica, è a prima vista suadente: in Italia oggi saremmo di fronte alla ricorrente tendenza al tradimento della fedeltà allo Stato per arricchire parenti e consanguinei. Il familismo amorale si mescolerebbe così con l’uso delle risorse pubbliche per interessi privati, con il clientelismo. Può essere interessante rilevare – osserva Ginsborg – come nell’Europa mediterranea «questi fenomeni antichi non muoiano mai, ma si reinventino continuamente in forme nuove.

Quel che fa impressione nell’Italia di oggi è il prevalere dell’organizzazione verticale tra patrono e cliente su quella orizzontale tra cittadini. Nella precarietà del mercato del lavoro diventa fondamentale la relazione con il potente che garantisce determinati accessi per te e per i tuoi figli, da qui un legame di gratitudine e asservimento. Tutto questo non ha niente a che vedere con cittadinanza, diritti e democrazia». Al fondo starebbe dunque una verità nascosta: insieme alla tardiva formazione dello Stato democratico, la chiave di volta dell’eccezione italiana, quel qualcosa che impedisce alla nazione di essere un paese normale, sarebbe il familismo, e cioè l’eccessivo potere assegnato alla famiglia nella società e nella sfera pubblica italiane. Il familismo svolge così nella visione di Ginsborg quel ruolo che un tempo era assegnato dalla retorica nazionalista al «particolarismo», un principio distruttivo e disgregatore di più ampie e morali solidarietà. La contrapposizione non potrebbe essere più netta: da una parte l’individualismo egoista nutrito nella culla familista e dall’altra l’etica pubblica solidaristica, cresciuta nell’alveo della società civile; da un lato una ricorrente tentazione alla gretta chiusura familistica e dall’altro una società civile colta, indipendente, reattiva, pronta ad organizzarsi e ad esprimere valori universalistici di partecipazione e di associazione. A questa contrapposizione idealtipica corrisponde puntualmente una distribuzione geografica, o meglio una geopolitica dei valori. Secondo Ginsborg sarebbe familista l’Europa mediterranea: un insieme variegato e composito formato in buona sostanza dall’area dei cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) più i paesi mediorientali di tradizione islamica [accomunati da] tratti familiari che, uniti alla strutturazione clanica, avrebbe condizionato in senso negativo la crescita della società civile. In sostanza, l’accostamento di regioni così diverse funziona solo in negativo: esse sarebbero tutte segnate da un debole senso civico a causa di strutture familiari troppo forti; sorta di controprova del successo del core nordeuropeo dello sviluppo economico (e insieme morale).

Questo schema semplificato e riduttivo è stato da tempo criticato e in gran parte abbandonato, ma la sua influenza continua ad avvertirsi nel discorso delle scienze sociali e nel dibattito pubblico. Malgrado l’evidenza, ad esempio, che in gran parte del Mezzogiorno la famigtia nucleare sia stata storicamente prevalente e le strutture di famiglie estese e complesse siano state invece minoritarie, l’idea che si possa trovare nella composizione familiare la chiave dell’arretratezza non è stata mai abbandonata. È accaduto cosi che, scoperta negli anni Ottanta la cosiddetta Terza Italia, l’area valligiana centrosettentrionale a piccola impresa industriale diffusa, ci si è chiesti se non fosse da cercare nella struttura complessa, gerarchica e patriarcale della famiglia estesa mezzadrile, nella sua abitudine alla cooperazione nell’uso delle risorse comuni (il podere) il segreto del successo economico di questa parte del paese; laddove alla famiglia nucleare meridionale, descritta « alla Banfield » sarebbe venuta a mancare questa fondamentale risorsa cooperativa. In breve, patriarcale o nucleare che sia la famiglia, il risultato non cambia mai, se si continua inutilmente a porre la struttura familiare come pietra filosofale nell’eterna ricerca alchemica delle ragioni del sottosviluppo economico (o civico).

Francesco Benigno Dal familismo amorale al familismo immorale. Famiglie italiane e società civile

Italianieuropei (3) 2010

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1. Come l’autore presenta e giudica le tesi degli studiosi sul rapporto tra famiglia e società civile in Italia?

2. La forma familiare della società italiana costituisce, secondo voi, un freno o un vantaggio per l’Italia odierna, in un contesto di crisi e di globalizzazione?